Published On: 23 Marzo 2014

Erica risponde alle domande di Lucia Bissoli.

1) Cosa pensi dei tempi che viviamo? Nelle tue canzoni parli spesso di un’Italia affaticata: quali sono i mali che l’affliggono, secondo la tua prospettiva di artista e gli studi che hai fatto?

Credo sia un tempo di trasformazione, dove più che mai stanno emergendo le contraddizioni che il nostro paese porta con sè, e l’evidenza della loro insostenibilità sul lungo periodo…
Privilegi, corruzione, ipertrofie burocratiche, ingiustizie sociali… tutto ciò sta facendo precipitare il nostro paese pericolosamente verso il baratro. Molti miei coetanei se ne sono andati o se ne stanno andando. Contemporaneamente però, movimenti sotterranei virtuosi e in controtendenza stanno rafforzandosi e prendendo coraggio… come anticorpi, lavorano unendosi per contrastare la deriva… e in questo lavoro colloco anche me e chi come me cerca con la musica o altre forme d’arte ma non solo di denunciare queste contraddizioni, di portarle alla luce, di pensare a nuove strade…

2) la tua -scusa la schiettezza- é spesso considerata una professione inutile e persino controproducente. Come affronti questo pregiudizio e le difficoltá del mondo dello spettacolo?

Chi fa questo lavoro ha la possibilità di diventare megafono per situazioni che spesso non hanno alcuna visibilità. Scrivere una canzone sulla situazione delle carceri italiane, sulla follia, sull’emarginazione, ma anche semplicemente invitare ad osservare la realtà, a porsi delle domande, a non dare per scontato ciò che stiamo vivendo, a ritornare a commuoversi o provare stupore per qualcosa, trovo sia tutt’altro che inutile. Attraverso il canale preferenziale della musica (che apre molte porte, nel cuore e nella sensibilità della  gente, molto più di quanto possa la semplice informazione giornalistica) abbiamo la possibilità di portare alla luce problemi, suggerire alternative, incitare il cambiamento… O anche soltanto alleviare per un paio d’ore le pene di chi ci ascolta, farlo stare un po’ meglio, divertirlo o emozionarlo… ecco, questo già fa della nostra professione qualcosa di molto utile. C’è chi pensa il contrario? Certo. Ma è un problema suo, di lettura superficiale della realtà. Non sa cosa si perde.

 

3) il tuo percorso professionale e umano é stato una lunga ricerca. Tale ricerca continua? Se sí… Con quale criterio ti metti in ricerca?

La musica e la vita stessa sì, sono una continua ricerca. Ma non si tratta di un percorso costante. E’ come scalare una montagna, ci sono momenti di salita, dove ogni passo si fa sentire, altri dove il terreno diventa pianeggiante e pare di non essere in cammino, eppure invece si sta continuando ad avanzare…  qualche volta si sbaglia sentiero, si cercano scorciatoie per poi restare bloccati e tornare sui propri passi, a volte ci si ferma semplicemente ad ammirare il paesaggio, o a riprendere fiato…
a volte è un atto consapevole, ma la maggior parte del tempo cerchiamo, cresciamo, comprendiamo senza nemmeno rendercene conto.
Se dovessi pensare al “criterio” per cui io mi metto in ricerca, beh, me ne vengono in mente diversi. Una ricerca di verità, prima di tutto, che è la cosa più difficile da trovare, soprattutto dentro noi stessi. E’ così facile prenderci in giro da soli, recitare delle parti, vestirci di ruoli che ci danno sicurezza ma non corrispondo a ciò che abbiamo dentro… Verità anche nelle relazioni, nello scambio con chi abbiamo accanto. E poi la bellezza. E’ una dimensione che la società contemporanea (e a volte anche l’arte) hanno finito per trascurare. Una cosa oggi funziona se è provocatoria, se è d’impatto, se attira l’attenzione. Abbiamo sacrificato la bellezza, nell’arte, nell’urbanistica, nella gestione degli spazi e del nostro tempo. Trovo altamente rivoluzionario recuperare questa dimensione e farne, accanto alla verità, una possibile bussola per la nostra vita e le nostre scelte…

4) Ti senti sola nella strada che compi o qualcuno ti accompagna? Il pubblico e la critica musicale che ruolo giocano in tutto questo?

Nel guardare dentro noi stessi siamo sempre e comunque soli. Dunque, anche nella produzione artistica, che parte proprio dall’introspezione, siamo spesso soli, almeno in un primo momento. Attualmente per le registrazioni del nuovo disco sto collaborando con Edu Hebling, contrabbassista brasiliano che è anche un ottimo arrangiatore, grazie al quale sto esplorando nuove atmosfere sonore, nuove possibilità, ed è un bel confrontarsi, nella ricerca musicale ma non solo. Poi ci sono gli altri musicisti che ci accompagnano, ognuno dei quali porta la propria personalità e le proprie idee al progetto… Ecco, questi scambi sono fondamentali, musicalmente per non rimanere chiusi nelle nostre poche e consolidate certezze, umanamente perchè ti rimettono in discussione, e perciò ti fanno crescere.
Quella con il pubblico è invece una relazione strana, atipica. Scambi intensissimi, con molte persone, costretti in pochissimo tempo. Ognuno vive in maniera diversa le mie canzoni, ognuno prova emozioni diverse ascoltandoci, e te ne riporta una piccola parte nel momento in cui decide di venirti a salutare alla fine di un concerto, in una stretta di mano o in uno scambio veloce. La maggior parte di loro se ne va dopo l’ultima canzone senza che tu possa ringraziarli uno per uno guardandoli negli occhi e scambiando con loro qualche parola. Ecco, questo trovo sia innaturale. Come ancor più innaturale e pericoloso è quando finisci per abituartici…
Poi ci sono gli amici, la mia famiglia, persone che mi conoscono di più e scambiano con me idee, apprezzamenti e spesso anche critiche, ecco, questi sono preziosi come l’oro…
Dire che ciò che pensa la critica non mi interessa sarebbe da ipocrita, a tutti in fondo interessa cosa gli altri pensano di noi, soprattutto se in questo caso “gli altri” fanno anche il buono e il cattivo tempo della discografia… o almeno lo facevano. Ora le cose sono cambiate. Ora c’è internet, ci sono i blog, e chiunque può elevarsi a potenziale critico. I veri “critici” sono rimasti pochi ormai, e non è più così vero che da loro dipenda il futuro professionale di un artista. Se internet ha portato a non vendere più dischi, è anche vero che ha reso tutto più democratico. Se ciò che fai piace, arriva, emoziona, la gente clicca e condivide. E magari viene anche a sentirti suonare dal vivo. E questa è una rivoluzione, in fondo. Perchè non siamo niente, senza chi ci ascolta. La musica è bisogno di comunicare qualcosa di noi, a chi è lì ad ascoltare, a rimandarti cose che a loro volta possono diventare nuove fonti d’ispirazione. Senza questo scambio circolare tra noi e il pubblico, tutto ciò non avrebbe senso. Tutto si gioca, ancora una volta, nella relazione. E in quanto riusciamo a scambiarci, di buono, in quegli attimi preziosi.